L’assegno divorzile: definizione e scopo

Quando si parla di assegno divorzile si intende l’obbligo, nascente da una sentenza di divorzio, in capo ad uno dei due coniugi di corrispondere un assegno all’altro, laddove non abbia mezzi adeguati o comunque non possa procurarseli per oggettive ragioni.

La ratio è dunque quella di garantire una sorta di “solidarietà post-coniugale” dell’ex coniuge nei confronti di quello più debole. Ma l’assegno riveste anche una funzione risarcitoria e compensativa e, per espressa previsione normativa, viene meno se l’ex coniuge beneficiario contrae nuove nozze o unione civile (cfr. art. 5 c.10 L. 898/1970 c.d. Legge sul divorzio).

I diversi orientamenti giurisprudenziali

Essendo ormai sempre più frequenti i casi di instaurazione di nuova convivenza di fatto (in alternativa alle seconde nozze), in tali ipotesi la soluzione circa la corresponsione o meno dell’assegno è rimessa alla giurisprudenza. 

Sul punto occorre specificare che sussistono tre orientamenti che, in base all’accertamento giudiziale della convivenza e della sua stabilità, riconoscono o negano il diritto a beneficiare dell’assegno di divorzio.

Il primo orientamento, più risalente nel tempo, sostiene che l’instaurazione di una convivenza stabile e duratura non comporti la cessazione automatica del diritto all’assegno di divorzio, ma ne preveda una rimodulazione in virtù del nuovo quadro familiare.

Il secondo orientamento autorizza la sospensione del diritto all’assegno divorzile per tutta la durata della convivenza, con la possibilità di una seconda concessione ove la convivenza venga meno.

Infine, il terzo indirizzo, prevalente in dottrina e giurisprudenza, prevede una estinzione automatica del diritto a seguito della instaurazione di una nuova convivenza stabile e duratura (di fatto equiparata a nuove nozze). 

La Sentenza della Corte di Cassazione

Il 5 novembre 2021, con la sentenza n. 32198, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla spinosa questione, ribaltando l’orientamento seguito dalla più recente giurisprudenza. Infatti la Corte ha statuito che, a determinate condizioni, l’assegno resta dovuto nonostante la nuova convivenza. 

Con questa pronuncia, viene meno l’automaticità della estinzione dell’assegno di divorzio in caso di nuova convivenza stabile. Le Sezioni Unite rilevano infatti come quest’ultimo orientamento sia privo di un riconoscimento normativo: come detto, la Legge sul divorzio (art. 5 c. 10 legge 898/1970) prevede l’estinzione del diritto all’assegno solo in caso di contrazione di nuovo matrimonio, che non risulta equiparabile in toto alla convivenza per quanto riguarda gli effetti che ne derivano. 

E non risulta possibile neanche ricorrere all’analogia (ex art. 12 preleggi) in quanto essa è applicabile solamente nel caso in cui manchi un’espressa previsione che disciplini la fattispecie concreta e si debba colmare una lacuna. Nel caso in esame, al contrario, non sussiste un vuoto normativo, ma vi è una diversa disciplina rispetto a condizioni eterogenee (matrimonio e convivenza). Diversamente opinando, si realizzerebbe un’ipotesi di analogia in malam partem, ovvero peggiorativa per la parte più debole che finirebbe per perdere un diritto riconosciutole dall’ordinamento.

La vicenda 

La decisione della Suprema Corte trae origine dalla decisione del Giudice di Appello di escludere in capo all’ex marito l’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile, riconosciuto nel primo grado di giudizio, avendo l’ex moglie instaurato una stabile convivenza con un nuovo compagno, da cui aveva avuto un altro figlio. Seguendo l’orientamento più recente e “gettonato” in giurisprudenza, la Corte d’Appello asseriva che la “famiglia di fatto”, per annoverarsi tra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost., deve presentare un certo grado di stabilità e deve essere caratterizzata dall’abituale convivenza e dalla comunanza di vita e di interessi.

Dunque, l’instaurazione di una nuova famiglia, seppur di fatto, fa rescindere ogni legame con il tenore di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale facendo venire meno la c.d. “solidarietà post-matrimoniale” con l’ex marito, che costituisce il fondamento della erogazione dell’assegno stesso. Il beneficiario dell’assegno dovrebbe infatti ricercare nella nuova convivenza quei legami di solidarietà familiare, incompatibili con il permanere dell’assegno di divorzio in capo all’ex coniuge. 

Avverso tale pronuncia l’ex moglie proponeva ricorso per Cassazione, adducendo che nei nove anni di durata del matrimonio lei stessa aveva rinunciato ad ogni attività professionale/lavorativa per crescere la prole, al contrario dell’ex marito che aveva potuto interamente dedicarsi alla propria crescita professionale. Inoltre la ex coniuge faceva presente che, stante le difficoltà di trovare una ricollocazione lavorativa alla sua età, viveva con i figli grazie all’assegno divorzile e si era unita all’attuale compagno, da cui aveva avuto un altro figlio.

La sentenza

Sulla base di tale ricostruzione, le Sezioni Unite, ribaltando il precedente orientamento, affermavano che la perdita automatica del diritto all’assegno di divorzio è incompatibile con la funzione dello stesso che (come detto all’inizio) non è soltanto assistenziale ma anche compensativo-perequativa (cfr. Cass. S.U., n. 18287 del 2018). L’assegno divorzile, infatti, ha lo scopo di garantire un riequilibrio della disparità delle condizioni economiche venutasi a creare a seguito dello scioglimento del matrimonio, tenendo conto del contributo prestato alla formazione del patrimonio familiare da entrambi i coniugi.

La scelta di instaurare una nuova convivenza di fatto – specialmente laddove nascano figli – non è irrilevante sul piano giuridico, in quanto costituisce espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, a cui corrisponde un’assunzione di responsabilità nei confronti del nuovo nucleo familiare. Una convivenza stabile richiede al nuovo coniuge l’impegno a contribuire economicamente alle esigenze familiari, che costituisce l’adempimento di un reciproco dovere di assistenza morale e materiale. Per tale motivo, in caso di instaurazione di una stabile convivenza, viene meno il diritto alla componente assistenziale dell’assegno ma non quello alla funzione compensativa, in quanto l’assegno è un modo per valorizzare e tener conto delle rinunce e degli sforzi fatti dall’ex coniuge, per favorire la complessiva vita familiare e, in particolare, per facilitare la realizzazione lavorativa o professionale dell’altro coniuge.

Del resto, risulta ingiusto privare di qualsiasi diritto ad una compensazione dei sacrifici fatti il coniuge economicamente più vulnerabile in quanto ha sacrificato il proprio percorso professionale a favore delle esigenze familiari.

Per citare la sentenza di che trattasi, può concludersi che “in caso di nuova convivenza il coniuge beneficiario non perde automaticamente il diritto all’assegno, ma esso potrà essere rimodulato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, in funzione della sola componente compensativa, purché al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, nell’accezione sopra riportata, si sommi, nel caso concreto, il comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell’altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse alla caducazione integrale. Un sacrificio che è proteso solo verso il passato e che solo nella definitiva regolamentazione dei rapporti con l’ex coniuge, in relazione al delimitato arco di vita del matrimonio, può trovare la sua soddisfazione. […..] Questa componente, che costituisce la stima del contributo dato alla formazione del patrimonio familiare e dell’altro coniuge nell’arco di tempo definito del matrimonio, rimarrebbe irrimediabilmente perduta per l’ex coniuge, che pure ha contribuito alla formazione del patrimonio personale dell’altro coniuge, accettando di rinunciare ad occasioni di lavoro o dedicandosi alla famiglia per facilitare la progressione in carriera dell’altro coniuge e la formazione di un patrimonio negli intenti destinato ad essere comune ma rimasto, a cagione dello scioglimento del progetto di vita comune, appannaggio dell’altro coniuge”.

 

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