In uno dei nostri ultimi articoli abbiamo affrontato la tematica del ricorso per decreto ingiuntivo, accennando all’atto di precetto, dei quali abbiamo suggerito un modello di compilazione (puoi vederlo qui www.mallozzifiaschiavvocati.it/blog). 

Ebbene, in questo excursus affrontiamo la fase successiva, ovvero il processo esecutivo, definito quale strumento, disciplinato dal codice di procedura civile, che permette ad un creditore di vedersi garantito un diritto, la cui esistenza è già considerata certa e definitiva per l’ordinamento giuridico (per l’appunto a seguito di accoglimento del ricorso per d.i.).

I presupposti del processo esecutivo: il titolo esecutivo e il precetto

I presupposti per poter intraprendere un’azione esecutiva contro il debitore, sono necessariamente un titolo esecutivo e un precetto, due elementi senza i quali il creditore non può soddisfare il proprio diritto di credito: non potrà, cioè, ottenere quanto gli spetta dal debitore che si rifiuta di adempiere spontaneamente.

L’art. 474 comma 1 c.p.c. prevede che l’esecuzione forzata possa aver luogo solo se si è in possesso di un titolo esecutivo che abbia ad oggetto un diritto certo (cioè esistente), liquido (costituito da un ammontare determinato, oppure determinabile) ed esigibile (non sottoposto a termini o condizioni di alcun tipo).

Cos’è il titolo esecutivo

Il titolo esecutivo consiste in un documento legale che accerta il diritto di credito e che attesta definitivamente la certezza del fondamento della pretesa del creditore. Esso può essere giudiziale (es. sentenza di condanna passate in giudicato, le sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva e gli altri atti che la legge dichiara espressamente esecutivi come ad esempio i verbali di conciliazione, gli sfratti convalidati oppure i decreti ingiuntivi) o stragiudiziale (scritture private autenticate per quanto riguarda le obbligazioni di somme in denaro in esse contenute, le cambiali e gli altri titoli di credito a cui la legge attribuisce espressamente l’efficacia di titolo esecutivo come ad esempio nel caso degli assegni). Ricadono in questa categoria anche gli atti ricevuti dal notaio o da altro pubblico ufficiale che sia autorizzato dalla legge a riceverli come ad esempio le ricognizioni di debito. Il titolo di cui sopra, per avere efficacia all’interno della procedura, deve essere munito di apposita formula esecutiva, specificata all’art. 475 c.p.c.: trattasi di una speciale formula che l’ufficiale giudiziario letteralmente appone sul documento e che consiste in un ordine a dare “esecuzione” al diritto accertato nel titolo esecutivo, anche attraverso l’uso della forza pubblica se fosse necessario. 

Il precetto invece è l’ultima intimazione che il creditore fa al debitore di adempiere all’obbligo risultante dal titolo esecutivo, entro un termine non minore di 10 giorni, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata (art. 480 c.p.c.) senza ulteriori avvisi. 

Il procedimento esecutivo

Solo a seguito della notifica del titolo esecutivo e del precetto, quindi, si potrà dare avvio al vero e proprio procedimento esecutivo, che si sostanzia in 3 fasi:

  • 1° Fase: il pignoramento, con il quale i beni sottratti alla libera disponibilità del debitore vengono sottoposti al potere dell’ufficio esecutivo. È l’atto con cui ha inizio l’espropriazione forzata;
  • 2° Fase: la liquidazione dell’attivo: i suddetti beni vengono trasformati in somma di denaro;
  • 3° Fase: la distribuzione di quanto ricavato ai creditori.

L’espropriazione forzata

Il pignoramento è, dunque, il primo atto del processo espropriativo e consiste in un’ingiunzione che l’ufficiale giudiziario fa al debitore (su incarico dell’Avvocato del creditore) di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano all’espropriazione e i frutti di essi (art. 492 c.p.c.).

Tramite il pignoramento, dunque, i beni sottratti alla libera disponibilità del debitore sono vincolati a favore del creditore procedente, nonché di quelli che dovessero intervenire nel procedimento: ne consegue la inefficacia e la inopponibilità –nei confronti del creditore- degli atti con i quali il debitore aliena o dispone delle cose pignorate.

Al pignoramento si giunge dopo che il creditore ha provveduto a notificare al debitore il titolo esecutivo e il precetto. A tal proposito l’art. 481 c.p.c. prescrive che il pignoramento debba essere notificato entro 90 giorni dal precetto, pena la inefficacia del precetto stesso. Allo stesso modo, il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi novanta giorni senza che sia stata chiesta l’assegnazione o la vendita.

Tipologie di pignoramento

Il nostro ordinamento giuridico prevede tre diverse tipologie di pignoramento, a seconda del bene che ne costituisce l’oggetto:

  • il pignoramento immobiliare, che ha per oggetto i beni immobili pignorabili, la cui esistenza è facilmente rinvenibile attraverso una ricerca presso i competenti uffici (Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio) che, mediante la consultazione di registri pubblici, consente di verificare altresì la presenza di eventuali altri pignoramenti o eventi pregiudizievoli (ad es. la presenza di ipoteche). È la procedura che garantisce maggiore possibilità di successo per il creditore, benché i costi da sostenere siano ingenti ed i tempi piuttosto lunghi.
  • il pignoramento mobiliare, che ha per oggetto beni mobili (tv, elettrodomestici, autoveicoli e così via) appartenenti al debitore persona fisica. In tale ipotesi, il creditore è tenuto a indicare unicamente l’indirizzo della sede o della residenza del debitore e sarà l’ufficiale giudiziario che procederà alla individuazione di beni eventualmente pignorabili e redigerà un verbale dal quale risulta, oltre che l’ingiunzione, la descrizione di tutte le cose pignorate, il loro stato (tramite rappresentazione fotografica o audiovisiva) e la determinazione approssimativa del presumibile valore di realizzo stabilito con l’assistenza, se ritenuta necessaria o richiesta dal creditore, di un esperto stimatore scelto dall’ufficiale giudiziario.
  • il pignoramento presso terzi (p.p.t.), che ha per oggetto crediti o più un generale beni del debitore che sono nella disponibilità del terzo.

Pignoramento verso terzi 

Tale procedura inizia con un atto di p.p.t. che l’Avvocato notifica, oltre che al debitore, anche alla banca o alle banche presso cui il debitore risulta avere somme depositate.

La procedura presso terzi è particolarmente rapida ed efficace dal momento che pone un vincolo immediato sulle somme o sui beni detenuti dal terzo pignorato.

Anche l’esistenza di un rapporto di lavoro dipendente, nel caso di debitore persona fisica, consente di procedere con il pignoramento presso terzi dello stipendio o del compenso presso il datore di lavoro (terzo pignorato) entro certi limiti.

Altresì, se il debitore risulta essere, a sua volta, creditore di somme nei confronti di un terzo, è possibile procedere con il pignoramento presso terzi di tali somme presso il terzo contraente (ovvero il debitore del debitore).

I beni impignorabili

Vi sono poi delle categorie di beni che la legge definisce impignorabili per il loro valore morale o per la loro indispensabilità nella vita quotidiana, per cui non possono essere sottratti al debitore. Vi rientrano i crediti alimentari, l’assegno di maternità, le indennità per malattie o infortuni, gli assegni di povertà, fedi nuziali e oggetti di culto religioso per i beni ad alto valore morale ed elettrodomestici di prima necessità.

L’atto di pignoramento presso terzi e la riforma del processo civile in materia

L’atto di pignoramento, notificato al terzo e al debitore da parte dell’Avvocato, deve innanzitutto contenere l’ingiunzione a non compiere atti dispositivi sui beni e sui crediti assoggettati al pignoramento, come previsto dall’articolo 492 c.p.c..

In esso devono poi essere riportati l’indicazione, almeno generica, delle cose e delle somme dovute, l’intimazione al terzo di non disporne se non per ordine del giudice, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel Comune in cui ha sede il tribunale competente e l’indicazione dell’indirizzo p.e.c. del creditore procedente.

L’atto deve infine contenere la citazione del debitore a comparire dinanzi al giudice competente, indicando un’udienza nel rispetto del termine dilatorio di pignoramento di cui all’articolo 501 c.p.c. (i.e. 10 giorni dal pignoramento per l’istanza di vendita o assegnazione), e l’invito al terzo a dichiarare, entro dieci giorni, al creditore di quali beni o somme sia lo stesso debitore del debitore esecutato, con l’avvertimento che in caso contrario, la dichiarazione dovrà essere resa comparendo in un’apposita udienza. Qualora poi il terzo non compaia o, sebbene comparso, non renda la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore si considereranno non contestati nell’ammontare o nei termini indicati dal creditore, ai fini del procedimento e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione.

A notificazione avvenuta, il creditore riceve indietro l’atto di citazione ed a quel punto ha l’onere, nei successivi 30 giorni, di depositare nella cancelleria del tribunale la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, pena perdita di efficacia del pignoramento.

L. 206/2021

Ma non finisce qui: difatti la riforma del processo civile intervenuta con la L. 206/2021, modificando l’art. 543 c.p.c., ha posto a carico del creditore un ulteriore onere, anch’esso a pena d’inefficacia del pignoramento. Un onere procedurale in più che va a gravare sul creditore e che sembra porsi in contrasto con le finalità di “semplificazione” e di accelerazione del rito procedurale in materia civile finendo così per appesantire una procedura finalizzata a tutelare il credito da parte di un soggetto che comunque è già in possesso di un titolo esecutivo per avviare l’esecuzione nelle sue diverse e possibili forme.

Il creditore infatti, entro la data dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di pignoramento, deve notificare al debitore e al terzo l’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo, con indicazione del numero di ruolo della procedura e depositare l’avviso notificato nel fascicolo dell’esecuzione. La mancata notifica dell’avviso o il suo mancato deposito nel fascicolo dell’esecuzione determinano l’inefficacia del pignoramento. Qualora il pignoramento sia eseguito nei confronti di più terzi, l’inefficacia si produce solo nei confronti dei terzi rispetto ai quali non è notificato o depositato l’avviso. In ogni caso, ove la notifica dell’avviso non sia effettuata, gli obblighi del debitore e del terzo cessano alla data dell’udienza indicata nell’atto di pignoramento.

Cosa può fare il debitore che riceve un pignoramento

Il debitore, può liberarsi dal pignoramento in svariati modi:

  • qualora versi la somma di denaro per cui si procede –comprensiva di spese- all’Ufficiale Giudiziario con l’incarico di consegnarli al creditore/i;
  • qualora provveda a corrispondere una somma pari all’ammontare dei crediti e delle spese incrementata del 20% in sostituzione dei beni pignorati, nel caso di avvenuto pignoramento di cose mobili 
  • qualora il pignoramento stesso sia inefficace per i motivi di cui sopra

Non va poi dimenticata la facoltà riconosciuta al debitore ex art. 496 c.p.c di chiedere una riduzione del pignoramento quando questo colpisce beni di valore superiore al credito ed alle spese. Al contrario, qualora i beni pignorati non risultino essere sufficienti per poter soddisfare i creditori, il debitore viene invitato a indicare altri beni del proprio patrimonio, non “aggrediti” dal procedimento, che siano utilmente pignorabili, oltre ai luoghi in cui questi si trovano e le generalità di eventuali terzi debitori (e dunque di crediti a sua volta vantati). La dichiarazione ha effetti anche penali.

Autorizzazione all’utilizzo dello strumento della ricerca telematica 

Spesso accade che il credito sia definitivamente accertato in via giudiziale ma non sia ancora riscosso. Per sapere dunque quali beni pignorare, è possibile per il creditore (tramite il proprio avvocato) effettuare una serie di visure a pagamento presso le banche dati accessibili: ma questo metodo è certamente dispendioso (soprattutto riguardo la ricerca di conti correnti) e dispersivo. 

L’articolo 492 bis c.p.c., come modificato dal D.L. 27 giugno 2015 numero 83, ha introdotto la possibilità per il creditore procedente di richiedere la ricerca telematica dei beni del debitore, in vista della successiva esecuzione. È dunque possibile trovare beni pignorabili del debitore (conti correnti, stipendi, pensioni, beni immobili ecc.) grazie allo strumento della ricerca telematica e l’accesso diretto all’anagrafe tributaria.

Qualsiasi creditore munito di un titolo esecutivo può, tramite il proprio avvocato, fare istanza al Presidente del Tribunale (del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede) per essere autorizzato alla ricerca telematica dei beni del debitore, effettuata concretamente dall’ufficiale giudiziario. 

L’istanza è soggetta al pagamento di un contributo unificato di 43 euro (non si applica il pagamento della marca da bollo di euro 27,00) e può essere proposta decorso il termine per l’adempimento indicato nel precetto (ossia dopo 10 giorni dal ricevimento del precetto stesso da parte del debitore), e non oltre 90 giorni (termine di scadenza del precetto). Decorso il secondo termine sarà necessario notificare un atto di precetto in rinnovazione.

Se, tuttavia, vi è pericolo nel ritardo, il presidente del tribunale può autorizzare la ricerca telematica dei beni da pignorare prima della notificazione del precetto.

Cosa deve contenere

L’istanza deve contenere l’indicazione delle generalità complete delle parti e del difensore; dei titoli sui quali si fonda il credito (al fine di verificare il diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata e quindi titolo esecutivo e l’atto di precetto già notificato); dell’indirizzo di posta elettronica ordinaria, il numero di fax e l’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore. Gli allegati richiesti sono la copia del titolo esecutivo ed il precetto ritualmente notificato.

Il giudice, se sulla base della documentazione allegata ritiene sussistente il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, emette un decreto di autorizzazione alla ricerca telematica dei beni pignorabili.

Il decreto può essere così esibito all’ufficiale giudiziario il quale accede mediante collegamento telematico ai contenuti delle banche dati delle Pubbliche Amministrazioni e in particolare solo all’anagrafe tributaria e all’anagrafe dei conti correnti (anche detta dei rapporti finanziari).

L’ufficiale giudiziario procede a pignoramento munito del titolo esecutivo e del precetto, anche acquisendone copia dal fascicolo informatico. Se vi è pericolo nel ritardo il precetto è consegnato o trasmesso all’ufficiale giudiziario prima che si proceda al pignoramento. Se però l’ufficiale giudiziario non dispone della strumentazione idonea a consentire l’accesso diretto da parte dello stesso alle banche dati o gli strumenti non sono funzionanti, il creditore può essere autorizzato a consultare personalmente le banche dati telematiche, sempre dietro esibizione del decreto di autorizzazione del giudice. A tale proposito è invalsa la prassi (in alcuni fori anche regolata direttamente da accordi tra l’Ordine degli Avvocati e l’Agenzia delle Entrate) di presentare ulteriore istanza di accesso alla banca dati dell’Agenzia delle Entrate tramite invio di PEC alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate competente allegando alla stessa l’autorizzazione ex art. 492 bis c.p.c. ricevuta dal Tribunale e la procura alle liti firmata digitalmente.

In questo modo il creditore potrà vedere l’elenco dei beni da pignorare e valutare se proseguire o meno nell’esecuzione.

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