Definizione
Per licenziamento si intende un atto unilaterale e recettizio, con cui il datore di lavoro manifesta la volontà di risolvere il rapporto lavorativo, recedendo dal contratto stipulato con il proprio dipendente e, ne subordina l’efficacia al momento in cui viene portato a conoscenza del destinatario.
Normativa
Il nucleo della normativa sui licenziamenti è contenuto nel Codice Civile (art. 2118 e 2119), nella legge 604 del 1966 e successive riforme (tra tutte la legge 108 del 1990, la “legge Fornero” n.92/2012 ed il “Jobs Act” n. 83/2014).
Partendo dalle disposizioni del Codice Civile, nel Libro Quinto, Titolo II, Capo I, Sezione III, l’art. 2118 recita: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità”, mentre l’art. 2119: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto [..]”.
Prima dell’entrata in vigore della L. 604, dunque, le sole disposizioni del codice civile succitate permettevano al datore di lavoro, al pari del lavoratore, di interrompere il rapporto di lavoro “ad nutum”, cioè senza una giustificazione, salvo solamente l’obbligo del preavviso.
Con l’entrata in vigore della Legge 15 luglio 1966 n. 604 il legislatore ha preso atto dello squilibrio di poteri tra il datore ed il lavoratore, considerato la parte “debole” del sinallagma ed ha dunque posto fine al potere “illimitato” del datore di lavoro, introducendo la regolamentazione sui presupposti e sulla procedura del licenziamento individuale.
Licenziamento per giusta causa ex L.604/1966
Ai sensi dell’art. 1 della L. 604, il licenziamento è legittimo solo ove avvenga per “giusta causa” ex art. 2119 C.C. o per un “giustificato motivo”.
Dunque, essendo un recesso unilaterale dal contratto di lavoro, il licenziamento deve trovare fondamento:
• Nella condotta del dipendente;
• nelle dinamiche inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa.
Nel primo gruppo rientrano i licenziamenti c.d. disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, mentre quelli legati all’attività produttiva o all’organizzazione di lavoro rientrano nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo.
L’art. 1 della L. 604, unitamente all’art. 2119 del C.C. espressamente richiamato dalla stessa, definisce la giusta causa come un inadempimento talmente grave, da non permettere la prosecuzione del rapporto di lavoro, neanche provvisoriamente: dunque, in detti casi, il licenziamento appare l’unica strada efficace a tutelare l’interesse del datore di lavoro, poiché la mancanza di cui il dipendente si è reso responsabile riveste una gravità tale che qualsiasi altra sanzione risulterebbe insufficiente (Cass. 24/7/03, n. 11516).
La giusta causa trae perciò fondamento dalla grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro, in particolare dell’elemento della fiducia che deve sussistere tra le parti, cagionato dal comportamento del lavoratore: e non si tratta unicamente di inadempienze contrattuali, ma anche di quei comportamenti estranei alla sfera del contratto e diversi dall’inadempimento, purché idonei a riflettersi nell’ambiente di lavoro e a far venire meno la fiducia alla base del rapporto.
L’elemento costitutivo della giusta causa, così come dedotto dalla definizione nel Codice Civile, è l’immediatezza degli effetti del provvedimento espulsivo (c.d. licenziamento in tronco). In tale fattispecie, la gravità della condotta del lavoratore è tale da determinare il recesso immediato dal rapporto di lavoro, senza la corresponsione, da parte del datore di lavoro, dell’indennità di preavviso.
La valutazione della gravità della violazione disciplinare del dipendente – tale cioè da determinare il licenziamento per giusta causa – è rimessa alla valutazione del giudice, in quanto la legge non fornisce chiarimenti in merito: la mancanza del dipendente va dunque valutata tenendo conto della gravità dei fatti addebitati al lavoratore, della proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione, delle conseguenze per l’azienda e dell’eventuale sussistenza di un danno, dell’intenzionalità della condotta da parte del dipendente (dolo o colpa), delle circostanze in cui questa è stata posta in essere, dalla natura del rapporto e dalle mansioni specifiche del lavoratore.
Giusta causa e giustificato motivo soggettivo e oggettivo: differenze
Sia il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, sia per il licenziamento per giusta causa intimato in caso di violazione - da parte del lavoratore - degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, rientrano nell’alveo dei licenziamenti disciplinari, a cui dunque va applicata la procedura ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori che obbliga il datore di lavoro ad effettuare una precisa contestazione dell’addebito al lavoratore e garantire la difesa del lavoratore.
Tuttavia il discrimine tra le due fattispecie è da ricavarsi nella definizione di giustificato motivo soggettivo fornita dall’art. 3 L.604/1966 per cui si intende "un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro". Trattasi dunque di una condotta disciplinarmente rilevante tenuta dal lavoratore e tale da giustificare un licenziamento, con obbligo di preavviso da parte del datore di lavoro. Da ciò ne deriva che, seppur vero che anche nel licenziamento per giustificato motivo soggettivo viene meno il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro ed il dipendente, tuttavia, nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, la condotta non risulta tanto grave da interrompere immediatamente il rapporto. In tale ipotesi, il dipendente avrà diritto al periodo di preavviso (la cui durata è disciplinata dalla contrattazione collettiva) ovvero, in mancanza, ad una indennità sostitutiva, non dovuta in caso di licenziamento in tronco, pari alla retribuzione cui avrebbe avuto diritto il dipendente se avesse lavorato durante il preavviso.
Diverso dalle due fattispecie precedenti è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che trova il suo fondamento in ragioni di ordine economico o organizzativo, così come sancisce l’art. 3 della Legge 604/1966 che parla di GMO “Per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Appare evidente che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo si distingue dai licenziamenti disciplinari per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, causati da comportamenti colpevoli o negligenti del dipendente.
La crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività o anche solo il venir meno delle mansioni cui è assegnato il lavoratore, senza la possibilità di un suo ricollocamento in altre mansioni esistenti in azienda (c.d. obbligo di repechage del lavoratore) e compatibili con il suo livello di inquadramento.
Requisiti formali del licenziamento e tutela in caso di licenziamento illegittimo: accenni
Un breve escursus sui requisiti formali del licenziamento, che riguardano la forma e il contenuto dell’atto di recesso. L’art. 2 della Legge n. 604/1966 (così come riscritto dopo la Legge Fornero 2012), obbliga il datore di lavoro a comunicare il licenziamento al prestatore di lavoro per iscritto specificandone i motivi che lo hanno determinato (siano essi per giusta causa, GMS o GMO). In mancanza di tali requisiti, il recesso è inefficace.
L’introduzione dell’obbligo di motivazione del recesso ad opera della Legge Fornero del 2012 ha ulteriormente ampliato la tutela della parte debole del sinallagma, poiché l’art. 2 antecedente alla riforma prevedeva l’obbligo per il datore di fornire la motivazione solamente dietro specifica richiesta del lavoratore nel termine specifico di 8 giorni dalla comunicazione del recesso.
La Legge Fornero del 2012 è intervenuta anche sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970) che, nella sua originaria formulazione, per ipotesi di licenziamento illegittimo ovvero privo di giustificazione (non disciplinato dalla legge n. 604/1966), garantiva al prestatore di lavoro la c.d tutela reale: il diritto del lavoratore alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al vedersi riconosciuta una indennità commisurata ex lege (salvo il diritto di opzione esercitabile dal lavoratore e consistente in un risarcimento del danno in luogo della reintegrazione).
Il nuovo articolo 18 ad oggi in vigore prevede quattro diversi regimi sanzionatori a seconda della diversa gravità dei vizi che caratterizzano il licenziamento.
Normativa Covid-19: blocco dei licenziamenti
A causa della pandemia da Coronavirus e delle sue ripercussioni su molteplici attività produttive e commerciali, il Governo ha emanato diverse norme che di fatto hanno previsto un “blocco” per il datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro in corso (anche ove si tratti di un dirigente: vedi Trib. Roma ord. 26 febbraio 2021), seppur con alcune eccezioni. A partire dal 17 marzo 2020 in poi, diverse disposizioni sono state emanate a proposito. Nella tabella che segue viene ripercorsa la storia del blocco dei licenziamenti, dalla prima disposizione del 2020 fino al c.d. Decreto Fiscale dell’ottobre 2021:
Norma | Contenuto |
---|---|
Art. 46 D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (testo poi modificato art. 80 D.L. 19 maggio 2020, n. 34) | Blocco del licenziamento per GMO per 60 giorni: dal 17 marzo 2020 al 16 maggio 2020 poi elevato a 5 mesi (fino al 16 agosto 2020) |
Art. 14 D.L. 14 agosto 2020, n. 104 | Tale norma, introducendo alcune deroghe al divieto di licenziamento, ha condizionato la possibilità di licenziare alla preventiva fruizione degli ulteriori periodi di cassa integrazione o di un nuovo esonero contributivo |
Art. 12, co. 10-11, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 (conv. In . 176/2020) | Proroga del blocco dei licenziamenti fino al 31 gennaio 2021, senza necessità di aver preventivamente fruito di settimane di cassa o di esonero con alcune eccezioni (ipotesi di licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività' dell'impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società, licenziamenti intimati in caso di fallimento) |
Art. 1, co. 310-311, legge 30 dicembre 2020, n. 178 c.d. Legge di bilancio 2021 | Confermando le eccezioni previste, ha prorogato il divieto di licenziamento fino al 31 marzo 2021 |
Art. 8, co. 9-11, D.L. 22 marzo 2021, n. 41 (conv. in legge n. 69/2021) | Il divieto di licenziamento, visti i nuovi periodi di integrazione salariale introdotti, è stato prorogato, per tutti i datori (salvo le eccezioni previste) al 30 giugno 2021. Inoltre, dal 1° luglio al 31 ottobre 2021, i datori che chiedono gli ulteriori periodi di Cassa Integrazione Guadagni in deroga, Cassa Integrazione Straordinaria per Operai agricoli o assegno ordinario, non possono recedere per GMO. |
Art. 40, co. 3-5, D.L. 25 maggio 2021, n. 73 c.d. Decreto Sostegni Bis (conv. In L. 106/2021) | Divieto di licenziamento – salve le eccezioni già previste – per i datori che chiedono CIGO e CIGS (senza contributo addizionale fino al 31 dicembre 2021) dal 1° luglio 2021, per un periodo di durata pari a quello di fruizione delle integrazioni salariali. |
Art. 4, co. 2-6, D.L. 30 giugno 2021, n. 99: tale norma è stata poi abrogata e sostituita dall’art. 50-bis, co. 2-6, del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, inserito dalla legge di conversione 23 luglio 2021, n. 106 | Per i datori identificati con i codici Ateco 2007 13, 14 e 15, cioè industrie tessili, confezioni articoli di abbigliamento e articoli in pelle/pelliccia, e fabbricazioni di articoli in pelle e simili che, dal 1° luglio 2021, sospendono o riducono l’attività, sono previste ulteriori 17 settimane di integrazioni salariali ordinarie nel periodo 1° luglio – 31 ottobre 2021 (senza contributo addizionale). In tal caso, salve le eccezioni previste (subentro nell’appalto, cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, accordo aziendale di incentivo alla risoluzione del rapporto, fallimento), fino al 31 ottobre 2021, il datore non può effettuare un licenziamento collettivo o per giustificato motivo oggettivo (ai sensi della L. 223/1991 artt.4-5-24). |
Art. 40-bis, co. 1-3, D.L. 25 maggio 2021, n. 73 (inserito dall’art. 4, co. 8, del D.L. 30 giugno 2021, n. 99, decreto abrogato dalla legge di conversione del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, e quindi reinserito da tale ultima legge) | Ai datori ex art. 8, co. 1, D.L. 22 marzo 2021, n. 41 (ossia quelli che potevano chiedere 13 settimane di CIGO, dal 1° aprile al 30 giugno 2021, per i lavoratori in forza al 23 marzo 2021), che non possono ricorrere ai trattamenti di integrazione salariale ex D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, è riconosciuto un trattamento di CIGS in deroga agli artt. 4, 5, 12 e 22 (durata e contribuzione addizionale) D.Lgs. n. 148/2015, per un massimo di 13 settimane fruibili fino al 31 dicembre 2021. Ai datori che chiedono tali integrazioni salariali, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021, restano “bloccati” i licenziamenti collettivi e individuali per GMO (salvo le eccezioni già viste: subentro in appalto, cessazione attività ecc.). |
Art. 11, co. 1-8, D.L. 21 ottobre 2021, n. 146 c.d. Decreto Fiscale conv. In L. 215 del 17 dicembre 2021 | I datori ex art. 8, co. 2, D.L. 22 marzo 2021, n. 41 (c.d. Decreto Sostegni conv. In L. 69/2021), che sospendono o riducono l’attività per eventi COVID-19 possono presentare, per i lavoratori in forza al 22 ottobre 2021, domanda di Assegno Ordinario e CIGD ex artt. 19, 21, 22 e 22-quater D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (legge n. 27/2020), fino a 13 settimane tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2021, senza contributo addizionale (co. 1).
I datori ex art. 50-bis, co. 2, D.L. 25 maggio 2021, n. 73, che sospendono o riducono l’attività per eventi COVID-19 possono presentare, per i lavoratori in forza al 22 ottobre 2021, domanda di CIGO ex artt. 19 e 20 D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (legge n. 27/2020), per un massimo di 9 settimane tra il 1° ottobre e il 31 dicembre 2021, senza contributo addizionale (co. 2). Le 13 settimane dei trattamenti ex co. 1 spettano ai datori cui è stato già interamente autorizzato il periodo di 28 settimane ex art. 8, co. 2, del D.L. n. 41/2021, decorso il periodo autorizzato. Le 9 settimane ex co. 2 sono riconosciute ai datori ex art. 50-bis, co. 2 del D.L. n. 73/2021, decorso il periodo autorizzato (co. 3). I Fondi ex art. 27 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, garantiscono l’erogazione dell’AO di cui al co. 1 con le medesime modalità di cui al presente articolo (co. 6). Ai datori che presentano domanda di integrazione salariale ex co. 1, 2 e 6, per la durata della fruizione del trattamento di integrazione salariale è preclusa, a prescindere dal numero di dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per GMO ex art. 3 legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese le procedure in corso ex art. 7 di tale legge (co. 7). |
Dopo questo breve excursus possiamo concludere che, ai sensi del Decreto Fiscale (l’ultimo Decreto approvato ed attualmente in vigore) per le categorie di datori di lavoro succitate, è prevista una nuova estensione del blocco dei licenziamenti, che per questi settori – guardando anche alle disposizioni precedenti - sale a 21,5 mesi (ossia quasi due anni). Tuttavia, il Decreto sancisce con estrema chiarezza che il blocco dei licenziamenti trova efficacia solo per i datori di lavoro che presentano la domanda di Cassa Integrazione Guadagni in Deroga o di assegno ordinario, e solo “per la durata della fruizione del trattamento di integrazione salariale”: pertanto, solo chi decide per il beneficio sociale (gravando sulle casse della collettività) avrà il divieto di licenziare; per tutti gli altri datori, dal 1° novembre 2021 è di nuovo possibile il licenziamento anche nelle aziende del terziario, nelle piccole imprese e nei settori artigianato, tessile, abbigliamento e pelletteria. In particolare, lo sblocco interessa i licenziamenti collettivi e quelli individuali per giustificato motivo oggettivo.
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