La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la recente sentenza del 30 dicembre 2021, n. 41994, è intervenuta per dirimere alcuni contrasti interpretativi sorti in relazione alle note vicende riguardanti le fideiussioni omnibus stipulate secondo il c.d. “Modello ABI” nel periodo 2002 – 2005, anni in cui è stata ritenuta sussistente un’intesa anticoncorrenziale delle banche beneficiarie delle garanzie.

La pronuncia – molto attesa  – ha confermato la soluzione, già maggioritaria nella giurisprudenza  di merito, della c.d. nullità parziale della fideiussione, ed induce a considerazioni rilevanti per tutti gli operatori bancari, finanziari e del recupero credito, in merito alla gestione di posizioni assistite da garanzie personali.

In questo excursus procederemo ad una sintetica ricostruzione della vicenda.

Fideiussione: cosa si intende

L’art. 1936 Cod. Civ. definisce la fideiussione quale negozio giuridico con cui un soggetto (fideiussore), si impegna a garantire l’adempimento di una obbligazione di un altro soggetto (debitore) innanzi al creditore, anche per debiti futuri, impegnandosi personalmente. La fattispecie si caratterizza quindi per la personalità della garanzia fideiussoria e per l’accessorietà della stessa rispetto all’obbligazione principale.

La ratio della fideiussione non è, per il fideiussore, accollarsi il rischio dell’obbligazione principale, ma garantire l’adempimento dell’obbligazione attraverso l’allargamento della base soggettiva, la quale è del tutto indipendente dall’effettivo rischio di inadempimento e, dunque, dall’eventualità che il debitore principale non adempia la propria obbligazione, ovvero che il suo patrimonio sia insufficiente a soddisfare le ragioni del creditore. Stante la garanzia assunta dal fideiussore, ai fini dell’efficacia dell’istituto non è giuridicamente rilevante il consenso preventivo del debitore; in quanto al contratto, non viene richiesta una forma particolare né tantomeno la sua accettazione da parte del debitore. Unica prescrizione è per il fideiussore, sia esso persona fisica o giuridica, il quale deve manifestare la sua volontà in maniera espressa e inequivocabile (art. 1937 c.c.).

Esistono diverse tipologie di fideiussione, dalla omnibus alla fideiussione bancaria e assicurativa, fino a quella tra privati. Oggi, ci soffermeremo sulle fideiussioni omnibus.

La fideiussione omnibus

L’istituto della fideiussione cd. “omnibus” è disciplinato dall’art. 1938 Cod. Civ. che prevede un impegno del fideiussore a garantire il pagamento non di un singolo debito altrui, ma di tutti i debiti presenti, condizionali e futuri che il debitore (di norma un imprenditore) ha assunto o assumerà nei confronti del creditore (che nella prassi è spesso un istituto di credito), con la previsione, nel caso di debiti futuri, dell’importo massimo garantito.

La fideiussione omnibus – proprio per l’aleatorietà che la caratterizza – è stata coniata sul modello della fideiussione per obbligazioni future, di cui agli artt. 1938 e 1956 codice civile, e non figura espressamente tra le garanzie personali tipiche del nostro ordinamento giuridico.

Tale fattispecie è stata al centro di un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale, sin dagli anni ’70, in ordine alla sua stessa ammissibilità, essendo sorto il dubbio che questa tipologia di garanzia potesse porsi in contrasto con l’esigenza che qualsiasi contratto debba sempre avere un oggetto determinato o comunque determinabile, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1346 e 1418 c.c..

Il legislatore è quindi intervenuto con la L. 154/1992, relativa alla trasparenza delle operazioni bancarie, che ha modificato l’art. 1938 imponendo un tetto massimo del credito garantito: ciò per correggere gli abusi della legge avvenuti in passato, che esponevano il fideiussore al rischio di una garanzia molto onerosa, nel caso in cui la banca avesse concesso un credito senza limiti. 

Le parti contrattuali, fideiussore e creditore, devono rispettare i principi di correttezza e buona fede: la banca, in particolare, ha l’onere di controllare la situazione finanziaria del debitore, non potendo fare affidamento esclusivamente sul patrimonio del garante, a fronte della manifesta incapienza del patrimonio dell’obbligato principale.

L’istituto di credito, ancorché garantito da fideiussione, ha il dovere di comportarsi nei confronti del debitore principale secondo i criteri di una sana gestione del credito: a tal proposito integra un comportamento contrario a buona fede (oggettiva) – sanzionato con l’inefficacia della garanzia fideiussoria – se, nonostante la prevedibile inadempienza del debitore, la Banca decida di procedere all’operazione confidando soltanto nella responsabilità del fideiussore (cfr. Cass., sent. n. 6414/1998).

Lo schema ABI e le clausole in violazione della concorrenza

Gli istituti di credito, nei rapporti con la clientela, solitamente fanno uso degli schemi negoziali predisposti dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) concernenti le condizioni generali di contratto. Nel 2002, in particolare, è stato redatto uno schema negoziale ad hoc per il contratto disciplinante la fideiussione omnibus, che permetteva alle banche di adottare uno standard comune di fideiussione a proprio beneficio, contenente numerose clausole in deroga alla disciplina civilistica e sfavorevoli per i clienti. Tuttavia, la Banca d’Italia – nell’esercizio della funzione di Autorità Garante della Concorrenza degli Istituti di credito poi trasferita all’AGCM a far data dal 12/01/2006–evidenziava all’interno tre clausole restrittive della concorrenza. Ebbene, con il provvedimento n. 55 del 02.05.2005 la Banca d’Italia dichiarava lo schema ABI relativo al contratto di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus), contrario alla normativa antitrust limitatamente alle clausole su indicate. In particolare, nel provvedimento si legge che gli articoli 2 (c.d. clausola “di reviviscenza”), 6 (rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.) e 8 (c.d. clausola di “sopravvivenza”) dello schema ABI “contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”.

In tale contesto, l’intesa anticoncorrenziale “a monte” ravvisata nel provvedimento veniva dichiarata nulla a tutti gli effetti, in conformità al quadro normativo nazionale (Art. 2, comma 2, lett. a) della L. 287/90) ed europeo (art. 101 TFUE). Meno chiara, però, appariva la sorte delle fideiussioni sottoscritte “a valle” dell’intesa concorrenziale, le cui clausole sono state inserite proprio per effetto dell’applicazione dell’intesa invalida, ma in relazione alle quali le norme non stabiliscono con precisione il rimedio applicabile. La questione è stata affrontata in numerose occasioni dalla giurisprudenza italiana, conseguendone la diffusione di tre diversi orientamenti; proprio l’incertezza del quadro giurisprudenziale ha spinto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione a pronunciarsi sul punto, confermando l’interpretazione della c.d. “nullità parziale” e ponendo l’attenzione, da un lato, alla tutela dell’interesse del mercato, protetto dalla disciplina antitrust e, dall’altro, alla tutela dell’interesse individuale del singolo contraente. 

La pronuncia delle Sezioni Unite

Con la sentenza 30 dicembre 2021, n. 41994 gli Ermellini hanno sancito il seguente principio di diritto: “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, comma 3 della Legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”. Per le Sezioni Unite, la realizzazione delle finalità perseguite dalla disciplina antitrust è garantita dalla tutela risarcitoria unitamente a quella reale. La nullità parziale delle clausole del contratto di fideiussione a valle assiste sia il cliente, che viene tutelato dall’espunzione delle clausole vietate, sia la banca che mantiene in vita la garanzia fideiussoria: infatti, la nullità parziale risponde al principio di conservazione del negozio di cui all’art. 1419 c.c. 

In pratica, per le SS.UU., occorre stabilire se, nel contratto di fideiussione a valle, le clausole vietate dalla disciplina antitrust abbiano un legame inscindibile con l’intero contratto oppure se lo stesso sarebbe stato concluso ugualmente. 

Per concludere, se un contratto di fideiussione stipulato a valle tra la banca e il cliente, riporta le clausole dello schema ABI, contrastanti con la disciplina antitrust, il rimedio è quello della nullità parziale. È invece nullo il contratto nella sua interezza, derogando in questo caso al principio di conservazione contrattuale, solo se viene provata una diversa volontà delle parti «nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità».

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